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Quando occorre nominare un avvocato penalista?

 

     L’indagato (e, dopo l’esercizio dell’azione penale, l’imputato) può nominare fino a due difensori di fiducia. Qualora questi non provveda alla nomina, l’Autorità Giudiziaria nomina un difensore d’ufficio che lo assista. Il difensore d’ufficio cessa dalle proprie funzioni se viene nominato un difensore di fiducia.

 

     Nel processo penale non ci si può difendere da soli ed è necessario avere almeno un difensore che eserciti la cd. difesa tecnica. La difesa innanzi alla Corte di cassazione è riservata agli avvocati iscritti all’Albo Speciale. Il difensore può nominare un sostituto processuale investito dei suoi stessi poteri e doveri.  Anche il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un difensore ma possono nominarne uno solo.

     La persona offesa dal reato può nominare un solo difensore, la difesa tecnica della persona offesa non è necessaria e quindi non ha diritto ad un difensore d’ufficio. Per la costituzione di parte civile nel processo penale è necessario l’intervento del difensore.

 

Il difensore deve essere retribuito? cos'è il patrocinio a spese dello Stato?

 

     Il difensore, anche se nominato d’ufficio, deve essere retribuito. L'indagato, l’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intenda costituirsi parte civile e il responsabile civile possono chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, secondo le norme della legge sul patrocinio dei non abbienti (impropriamente detto “gratuito patrocinio” – vedi D.P.R., 30/05/2002 n° 115, artt. da 74 a 145).

 

Come funziona, a grandi linee, il processo penale?

     Una volta ricevuta la notizia di reato mediante denuncia, querela, rapporto etc., il Pubblico Ministero iscrive l’indagato, se noto, nel registro delle notizie di reato. Il PM ha la direzione delle indagini preliminari e può acquisire elementi  di prova (testimonianze, documenti, immagini etc.), a tal fine si serve della Polizia Giudiziaria.

 

     La fase delle indagini preliminari è segreta, e segreti sono gli atti raccolti nel fascicolo del PM. Se il PM ritiene la notizia di reato infondata, o sconosciuti gli autori del reato, chiede al Giudice per le indagini preliminari di archiviare il procedimento. Il Gip può aderire alla richiesta del PM ed archiviare, oppure può ordinargli di fare nuove indagini o obbligarlo ad esercitare l’azione penale.

 

     Qualora il PM non ritenga di chiedere l’archiviazione, avverte l’indagato che le indagini sono concluse e gli mette a disposizione gli atti contenuti nel fascicolo per consentirgli di esercitare il diritto di difesa mediante memorie, indicazioni di prove o di testimoni o chiedendo di essere interrogato. Acquisiti gli eventuali atti difensivi, il PM può convincersi della infondatezza degli addebiti e chiedere l’archiviazione oppure può chiedere al Gip di rinviare a giudizio l’imputato, (la richiesta di rinvio a giudizio costituisce esercizio dell’azione penale e, da quel momento, l’indagato assume la veste di imputato); a tal fine il Gip fissa l’udienza preliminare nel corso della quale decide se dichiarare il non luogo a procedere oppure rinviare a giudizio l’imputato dinanzi al giudice competente (Tribunale in composizione monocratica o collegiale, Corte d’assise).

 

     Il Gip, durante l’udienza preliminare assume la funzione di Gup, Giudice per l’udienza preliminare. In relazione ai reati meno gravi il PM può citare a giudizio direttamente l’imputato dinanzi al Tribunale in composizione collegiale; in questo caso il processo vero e proprio è preceduto da un’udienza predibattimentale.

 

     Nel corso dell’udienza preliminare, o dell’udienza predibattimentale, l’imputato può chiedere di essere ammesso ad uno dei riti speciali, previsti dal codice di procedura, che comportano, in genere, un’accelerazione del processo ma anche un più vantaggioso trattamento sanzionatorio (rito abbreviato, patteggiamento, messa alla prova etc. – sull’argomento vedi:LA SCELTA DEL RITO: il risiko del processo penale).

 

     Nel corso del processo dinanzi al Tribunale o alla Corte d’assise (per i reati più gravi), non sono utilizzabili le prove raccolte dal PM, a meno che non siano divenute irripetibili; le prove vanno raccolte ex novo nel contraddittorio tra le parti processuali (PM, imputato, eventuale parte civile rappresentate dai rispettivi difensori). Le prove sono costituite da testimonianze, acquisizioni di documenti di varia natura, perizie e consulenze, esperimenti giudiziari etc.

 

     Al termine dell’istruttoria dibattimentale le parti illustrano le loro rispettive argomentazioni e conclusioni; l’ultima parola spetta sempre alla difesa dell’imputato o all’imputato stesso. Concluse le discussioni delle parti, il Tribunale o la Corte d’assise di ritira in camera di consiglio, la decisione è immediatamente comunicata alle parti.

 

     I Giudici hanno l’obbligo di rendere note le motivazioni poste a base della decisione, in genere, la sentenza, completa di motivazione, viene depositata in un secondo tempo.

 

     Avverso la sentenza, nei casi consentiti, posso proporre appello l’imputato, il PM, la parte civile (per i soli interessi civili) e le altre parti eventuali. La Corte d’appello, nei limiti delle questioni devolute con l’atto di impugnazione, riesamina, nel merito, la vicenda processuale e può confermare o riformare la sentenza di primo grado oppure annullarla.

 

     Avverso la sentenza della Corte d’appello è consentito il ricorso dinanzi alla Suprema Corte di cassazione per i soli motivi di legittimità, cioè limitatamente alle sole questioni di diritto. La Corte può rigettare il ricorso o annullare senza rinvio la sentenza della Corte d’appello oppure annullarla rinviandola, per la decisione, ad una diversa sezione della stessa Corte d’appello.

Quale è la differenza tra reati procedibili d'ufficio e quelli procedibili a querela?

     Nel sistema giuridico italiano, la differenza tra reati procedibili d'ufficio e reati procedibili a querela di parte non è una mera questione burocratica, ma riflette una scelta di politica criminale su quali interessi lo Stato debba tutelare in autonomia e quali, invece, richiedano un'attivazione privata.

     Quando parliamo di reati procedibili d'ufficio, ci riferiamo a quelle fattispecie che il legislatore considera di tale gravità e allarme sociale da rendere necessario l'intervento dello Stato a prescindere dalla volontà della vittima. In questi casi, l'azione penale è obbligatoria e automatica: è sufficiente che l'autorità giudiziaria o la polizia giudiziaria vengano a conoscenza del fatto – attraverso una denuncia, un referto medico o un'indagine autonoma – perché il procedimento si avvii. La caratteristica più rilevante di questa categoria è l'indisponibilità dell'azione da parte della persona offesa: anche qualora la vittima decidesse di perdonare il colpevole o non volesse più vederlo punito, il processo farebbe comunque il suo corso fino alla sentenza. Rientrano storicamente in questa categoria i reati che ledono beni primari come la vita o l'incolumità pubblica, si pensi all'omicidio, alla rapina o ai maltrattamenti in famiglia.

     Diametralmente opposta è la logica dei reati procedibili a querela di parte. Qui lo Stato fa un passo indietro, riconoscendo che l'offesa riguarda un interesse prevalentemente privato o personale. In questi casi, la punibilità del colpevole è subordinata alla volontà della vittima, che deve manifestare esplicitamente la richiesta che l'autore del reato venga perseguito penalmente. La querela funge quindi da "condizione di procedibilità": senza di essa, anche di fronte a prove evidenti, il Pubblico Ministero non può esercitare l'azione penale.

     Questo potere in mano alla vittima è però vincolato a termini temporali stretti, imposti per evitare che la minaccia di un processo rimanga sospesa indefinitamente. La regola generale impone che la querela venga sporta entro tre mesi dal momento in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto costituente reato. Esistono tuttavia eccezioni significative legate alla natura del reato: per lo stalking il termine è esteso a sei mesi, mentre per la violenza sessuale si arriva a dodici mesi, una dilatazione temporale pensata per dare alla vittima il tempo necessario per elaborare il trauma.

     Un aspetto cruciale della procedibilità a querela è l'istituto della remissione. Poiché l'avvio del processo dipende dalla volontà della vittima, quest'ultima ha generalmente anche il potere di "ripensarci" e ritirare la querela (rimetterla), magari a seguito di un risarcimento del danno o di una riconciliazione. Se l'indagato accetta la remissione, il reato si estingue e il procedimento si chiude. Tuttavia, è doveroso segnalare una fondamentale eccezione a tutela delle vittime vulnerabili: la querela per violenza sessuale, una volta presentata, è irrevocabile. Questa norma serve a impedire che la vittima subisca pressioni o minacce da parte dell'aggressore per costringerla a ritirare l'accusa.

     Il panorama appena descritto è stato profondamente ridisegnato dalla recente Riforma Cartabia. Il legislatore, mosso dall'esigenza di ridurre l'enorme carico di fascicoli che ingolfa i tribunali (la cosiddetta finalità deflattiva), ha operato una massiccia trasformazione di reati procedibili d'ufficio in reati a querela. La logica è quella di favorire i meccanismi risarcitori e la giustizia riparativa: se il colpevole risarcisce la vittima e questa ritira la querela, il processo finisce subito, con risparmio di risorse per lo Stato e soddisfazione per il danneggiato.

     Per effetto di questa riforma, condotte che prima venivano perseguite automaticamente dallo Stato ora richiedono l'attivazione della vittima. Parliamo di reati molto comuni come il furto (anche se aggravato, ad esempio quello con destrezza o su cose esposte alla pubblica fede), le lesioni personali stradali gravi o gravissime (a meno che non ci siano aggravanti specifiche come la guida in stato di ebbrezza), il danneggiamento, la truffa e la frode informatica anche quando causano un danno patrimoniale rilevante.

     In conclusione, il sistema attuale richiede ai cittadini una maggiore consapevolezza: essere vittime di un reato come il furto o un incidente stradale con lesioni oggi implica un onere di attivazione immediata. Non ci si può più limitare ad attendere che la giustizia faccia il suo corso automaticamente; è necessario esercitare il proprio diritto di querela entro i termini di legge, pena l'impossibilità assoluta di ottenere giustizia in sede penale.

Cos'è la prescrizione dei reati? in quanto tempo si estinguono delitti e contravvenzioni?

     La prescrizione è, in sostanza, la rinuncia dello Stato a esercitare il proprio potere punitivo quando è trascorso troppo tempo dal momento in cui il reato è stato commesso. La logica che la sostiene è duplice: da un lato, col passare degli anni vengono meno l'allarme sociale e l'interesse pubblico a punire quel fatto specifico; dall'altro, diventa sempre più difficile ricostruire la verità processuale, poiché le prove sbiadiscono e i ricordi si affievoliscono. Inoltre, si presume che il reo, dopo molto tempo, possa essere una persona diversa, "riabilitata" dal tempo stesso.

     Per capire quanto tempo serve affinché un reato si prescriva, bisogna guardare alla pena massima prevista per quel crimine. La regola generale è che il tempo di prescrizione coincide con la pena massima edittale (ad esempio, se un reato è punito con un massimo di 10 anni, si prescrive in 10 anni). Tuttavia, la legge fissa delle soglie minime sotto le quali non si può mai scendere: sei anni per i delitti e quattro anni per le contravvenzioni (i reati minori), anche se la pena prevista fosse inferiore.

     Esiste però un'eccezione fondamentale: i reati gravissimi, quelli puniti con l'ergastolo (come l'omicidio aggravato), sono imprescrittibili. Per questi crimini, lo Stato non rinuncia mai alla pretesa punitiva, non importa quanto tempo sia passato.

     Un aspetto cruciale nel calcolo è il meccanismo dell'interruzione. L'orologio della prescrizione non scorre in modo lineare dall'inizio alla fine; ogni volta che l'autorità giudiziaria compie un atto formale (come un interrogatorio o la richiesta di rinvio a giudizio), il conteggio si azzera e riparte da capo. Tuttavia, per evitare che il processo diventi eterno, la legge prevede un "tetto massimo" oltre il quale non si può andare nemmeno sommando tutte le interruzioni (solitamente il tempo base aumentato di un quarto).

     Infine, è doveroso citare la grande novità introdotta dalla recente Riforma Cartabia, che ha cambiato il "motore" della prescrizione. Oggi dobbiamo fare una distinzione netta tra il primo grado di giudizio e le fasi successive. La prescrizione del reato vera e propria (quella che estingue il crimine) continua a scorrere solo fino alla sentenza di primo grado. Una volta emessa la prima sentenza, l'orologio della prescrizione si ferma definitivamente. Per i gradi successivi (appello e cassazione), è stato introdotto un meccanismo diverso chiamato improcedibilità: non si estingue più il reato, ma muore il processo se non si riesce a concludere il grado di appello entro 2 anni o la Cassazione entro 1 anno.

     In sintesi: prima della sentenza, il tempo cancella il reato; dopo la sentenza, il tempo impone allo Stato di essere veloce, altrimenti l'azione penale non può più proseguire.

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