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Dott.ssa Greta Mastrantonio

LA RESPONSABILITA' PENALE DEL DIRIGENTE DELLA STRUTTURA SANITARIA PUBBLICA O PRIVATA


Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”, “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, così recita l’art. 40 c.p., secondo lo schema della condicio sine qua non, confermato dall’art. 41 commi 1 e 3 c.p., anche in caso di “concorso di cause”, finanche consistenti in un fatto illecito altrui.


Quanto alla possibilità di ravvisare una responsabilità “da organizzazione” in capo ai dirigenti di strutture sanitarie complesse, occorre partire dalla considerazione che spesso l’errore medico può non dipendere da un difetto di diligenza, prudenza o perizia attribuibile al singolo professionista, ma può essere riconducibile anche, od esclusivamente, a condizioni ambientali, esterne alla volontà dell’agente, come deficit organizzativi della struttura sanitaria (1).


Tali deficit possono essere di vario tipo: inadeguatezza di strumentazioni tecniche o malfunzionamento delle stesse; stabile inidoneità della struttura sanitaria all’erogazione di determinate prestazioni; inadeguata gestione del personale medico e infermieristico. In tutte queste situazioni, nell’impossibilità di individuare una responsabilità penale diretta della struttura (2), occorre, dunque, comprendere se sugli organi apicali della stessa, gravi un obbligo giuridico di impedire gli eventi di morte o lesione cagionati ai pazienti, se, quindi, essi siano titolari di una posizione di garanzia nei confronti di questi ultimi; o, comunque, se taluni di questi eventi possano essere causalmente ricondotti ad una loro azione o omissione.

Si tratta di un problema di non facile soluzione, visto che, nelle strutture complesse, i soggetti in posizione apicale, spesso delegano le proprie funzioni ad altri soggetti. Nell’ambito delle strutture sanitarie pubbliche, tale facoltà è espressamente prevista, a livello legislativo, dall’art. 3 comma 1quater del d.lgs. n. 502/1992, che stabilisce come il direttore generale sia coadiuvato, nell’esercizio delle sue funzioni, dal direttore amministrativo e da quello sanitario, nominati dal primo.


Al direttore generale, secondo il comma 6 del suddetto articolo, spettano “tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell’unità sanitaria locale” in particolare, egli ha il compito di “verificare, mediante valutazioni comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché l'imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa”.


Il direttore amministrativo e quello sanitario, partecipano “alla direzione dell'azienda, assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale” (art. 3 comma 1quinquies). In particolare il direttore amministrativo “dirige i servizi amministrativi”, quindi è responsabile della gestione economica e giuridica dell’ente, dell’organizzazione dei servizi e della predisposizione delle strutture; il direttore sanitario “dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza” (art. 3 comma 7). Inoltre, “in caso di vacanza dell'ufficio o nei casi di assenza o di impedimento del direttore generale, le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo o dal direttore sanitario su delega del direttore generale o, in mancanza di delega, dal direttore più anziano per età” (art. 3 comma 6).


Quanto alle strutture sanitarie private, sebbene organizzate sulla falsariga di quelle pubbliche, non si può prescindere dallo studio dell’organigramma aziendale, per individuare le specifiche posizioni di garanzia in relazione alle funzioni attribuite a ciascun dirigente.

L’art. 35 del D.P.C.M. 153/1986 impone che il regolamento interno indichi le attribuzioni, i compiti, e le responsabilità di ciascun medico. L’art. 27, stabilisce che il direttore sanitario di strutture private: “cura l'organizzazione tecnico-sanitaria della casa di cura privata sotto il profilo igienico endorganizzativo, rispondendone all'amministrazione e all’autorità sanitaria competente. In particolare il direttore sanitario ha le seguenti attribuzioni: cura l'applicazione del regolamento sull'ordinamento e sul funzionamento della casa di cura, proponendone le eventuali variazioni; controlla la regolare tenuta e l'aggiornamento di apposito registro contenente i dati anagrafici e gli estremi dei titoli professionali del personale addetto ai servizi sanitari; trasmette annualmente all'autorità sanitaria competente un elenco del personale addetto ai servizi sanitari in servizio ali1 gennaio e di quello convenzionato di cui all'art. 34 e comunica le successive variazioni; vigila sulla regolare compilazione e tenuta del registro dei parti e degli aborti, del registro degli interventi chirurgici e dell'archivio clinico; cura la tempestiva trasmissione all'ISTAT e all’autorità sanitaria dei dati e delle informazioni richieste; stabilisce, in rapporto alle esigenze dei servizi, l'impiego, la destinazione, i turni ed i congedi del personale medico, infermieristico, tecnico ed esecutivo addetto ai servizi sanitari; controlla che l'assistenza agli infermi sia svolta con regolarità ed efficienza; vigila sul comportamento del personale addetto ai servizi sanitari proponendo, se del caso, all'amministrazione i provvedimenti disciplinari; propone all'amministrazione, d'intesa con i responsabili dei servizi, l'acquisto di apparecchi, attrezzature ed arredi sanitari ed esprime il proprio parere in ordine ad eventuali trasformazioni edilizie delle case di cura; rilascia agli aventi diritto, in base ai criteri stabiliti dall'amministrazione, copia delle cartelle cliniche ed ogni altra certificazione sanitaria riguardante i malati assistiti nella casa di cura; vigila sul funzionamento dell'emoteca nonché sulla efficienza delle apparecchiature tecniche, degli impianti di sterilizzazione, disinfezione, condizionamento dell'aria, della cucina e lavanderia per quanto attiene agli aspetti igienico-sanitari; controlla la regolare tenuta del registro di carico e scarico degli stupefacenti ai sensi di legge; vigila sulla scorta dei medicinali e prodotti terapeutici, sulle provviste alimentari e sulle altre provviste necessarie per il corretto funzionamento della casa di cura; stabilisce, oltre ai turni di guardia medica, quelli di guardia ostetrica ed infermieristica”. L’art. 29 stabilisce, inoltre, che “in tutte le case di cura deve essere previsto, con rapporto di lavoro dipendente a tempo pieno o definito, ovvero con rapporto di collaborazione professionale coordinata e continuativa, almeno un medico dirigente responsabile per ciascun raggruppamento di unità di degenza”. Dunque, in queste strutture, sebbene il direttore sanitario abbia compiti simili rispetto all’omologa figura delle strutture pubbliche, egli non ha un ruolo marcatamente gestionale nell’attività della struttura pubblica, con funzioni manageriali nel settore dell’organizzazione dei servizi sanitari e in quello del controllo igienico sanitario, risultando privo di un concreto potere di intervento, dato che le scelte di fondo sono rimesse ai titolari della clinica (3).


Ad esempio, Cass. pen., 3 sez. IV, n. 4981/2003, hai individuato nei due amministratori delegati, i soggetti penalmente responsabili per il reato di omicidio colposo ai danni di un infermiere e di alcuni pazienti della casa di cura, a causa di un incendio scoppiato in una camera iperbarica. In particolare, la Suprema Corte ha riconosciuto in capo ai due amministratori la posizione di garanzia assimilabile a quella del direttore generale della ASL: se fossero state adottate adeguate misure di prevenzione e protezione, l’evento sarebbe stato evitato con certezza o con alto grado di probabilità logica.


Inoltre, mentre in relazione alle strutture sanitarie pubbliche, ai fini dell’individuazione di eventuali responsabilità “da organizzazione” dei soggetti apicali, non possono non essere considerate anche eventuali scelte di natura politica, adottate a livello regionale o nazionale, di contenimento della spesa sanitaria, che abbiano determinato gravi carenze strutturali e organizzative dell’azienda ospedaliera, quanto alle strutture sanitarie private il ragionamento è parzialmente diverso, a seconda che le stesse siano o meno accreditate con il Ssn (4).

Per quanto riguarda il tema della delega di funzioni, giurisprudenza e dottrina, da tempo, hanno elaborato i requisiti di validità della stessa, individuabili nella forma espressa, nell’affidabilità e competenza tecnica del soggetto delegato, nell’attribuzione a quest’ultimo dei poteri necessari per esercitare le funzione attribuitegli e nell’accettazione dell’incarico da parte dello stesso, requisiti, per altro, coincidenti con quelli previsti dal d.lgs. 81/2008, in materia di sicurezza sul lavoro.


Occorre, a questo punto, valutare se tale delega di funzioni sia idonea ad escludere qualsiasi forma di responsabilità in capo al delegante o se, al contrario, residui una qualche forma di responsabilità in capo allo stesso, visto il suo dovere di controllo e di vigilanza.


A riguardo, si fronteggiano tre orientamenti dottrinari e giurisprudenziali: secondo la teoria c.d. “soggettiva”, la delega di funzioni rileverebbe soltanto sul piano della colpevolezza, non riducendo la posizione di garanzia gravante sul delegante, nel senso che quest’ultimo potrebbe essere dichiarato non responsabile non perché liberato dall’obbligo ma perché esente da colpa; secondo altro orientamento, muovendo dal “principio dell’inderogabilità della posizione di garanzia”, la delega non esclude la responsabilità del delegante, ma trasforma il contenuto del suo obbligo, che da un obbligo di “presenza diretta”, diventa un obbligo di vigilanza ed intervento laddove venga a conoscenza di una violazione suscettibile di essere impedita, dunque rilevante anche nell’omesso impedimento di eventi lesivi (come stabilito, tra le altre, anche da Cass. pen., sez. IV, 10/11/2005, n. 47363); tale conclusione è stata criticata da altro orientamento dottrinale che ha evidenziato come essa trascuri “che si danno circostanze concrete che impediscono che l’adempimento di un obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro, e che la possibilità oggettiva di osservare l’obbligo di condotta incide sulla stessa possibilità di configurare una condotta omissiva. A voler ritenere che il datore di lavoro sia sempre titolare di un obbligo di garanzia [...] si corre purtroppo il rischio di fondare l’addebito sul mero possesso di una qualifica”: si tratta della teoria “oggettiva", secondo la quale una delega efficace consentirebbe al delegante di spogliarsi integralmente dalla sua posizione di garante.


La costante giurisprudenza, ad esempio, individua a carico del primario un obbligo di garanzia di impedire eventi lesivi dell’altrui integrità fisica o vita; quindi di attivarsi affinché non si verifichino tali eventi anche a seguito di comportamenti negligenti o inosservanti dei propri collaboratori, ma Cass. pen., sez. IV, 01/02/2000, ha anche affermato come, se è vero che “il primario ospedaliero è titolare di una specifica posizione di garanzia nei confronti dei suoi pazienti alla quale non può sottrarsi adducendo che ai reparti sono assegnati altri medici o che il suo intervento è dovuto solo ai casi di particolari difficoltà o di complicazioni; chiaramente questo non implica una continuativa ed illimitata sorveglianza, qualora egli abbia organizzato preventivamente le procedure e le modalità di intervento, si ritiene espletata la propria funzione di controllo”.


Guardando all’art. 16 comma 3, d.lgs. 81/2008, il cui raggio d’azione si estende anche al di fuori della materia specifica della sicurezza sul lavoro, secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, potrebbe, invece, residuare in capo al delegante una culpa in vigilando, in grado di fondare una responsabilità concorsuale dei soggetti che hanno effettuato le scelte di tipo amministrativo- organizzativo, dalle quali sono derivate tali carenze. La condotta dei dirigenti potrà concretizzarsi sia in un’azione, ove la carenza sia il frutto di errori decisionali o di cattiva gestione tecnica ed amministrativa, sia (più spesso) in un’omissione, per la mancata adozione di tutti i provvedimenti necessari per il corretto funzionamento della struttura dagli stessi diretta.


Per non andare incontro a responsabilità, pertanto, i direttori generali, amministrativi e sanitari devono adottare tutti i provvedimenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, percepiscano, per conoscenza diretta o su segnalazione, come necessari per soddisfare le necessità tecniche ed organizzative della struttura sanitaria. La Corte di Cassazione, sez. IV, 20/09/1995, n. 10093, ha, ad esempio, affermato la responsabilità penale, a titolo di colpa, del direttore amministrativo di una struttura ospedaliera, per la morte di un paziente a seguito di un intervento chirurgico. In particolare questi non aveva predisposto un’organizzazione quanto meno sufficiente a rendere possibile un minimo di assistenza notturna post operatoria che tutti gli interventi di anestesia impongono, compito che rientra tra le competenze del direttore amministrativo, il quale deve pianificare i turni di lavoro all’interno delle strutture ospedaliere e può quindi essere chiamato a rispondere qualora abbia omesso di organizzare adeguatamente la struttura al fine di garantire un’adeguata cura ai suoi pazienti (una volta accertato che l’evento morte o lesioni sia stata una conseguenza della sua condotta).


Cass. pen., sez. IV, 06/10/2005, n. 1147, quanto agli eventuali profili di responsabilità del direttore generale, si è pronunciata in relazione ad un caso di omicidio colposo ai danni di un paziente ricoverato nella struttura sanitaria pubblica, a causa di un black out del reparto cui ha fatto seguito un’interruzione di 25-30 minuti del funzionamento dell’impianto di drenaggio toracico che doveva evitare il riformarsi di pneumotorace. La Suprema Corte, ha affermato come, per poter stabilire se sussiste responsabilità in capo al direttore generale, è necessario verificare se tra i poteri, e i correlati doveri di gestione, rientri anche quello di occuparsi dell’impianto elettrico (degli ospedali di competenza dell’U.S.L.), tenuto anche conto della delegabilità di alcuni aspetti gestionali. A tal proposito, i giudici di legittimità affermano come "sull’argomento la sentenza impugnata coerentemente evidenzia da una parte la macroscopicità dei difetti dell’impianto, e dall’altro l’esistenza di plurime segnalazioni rivolte al direttore generale dal servizio tecnico interno e dagli organi di controllo esterni all’ospedale perché venissero attivate (e questo è evidentemente compito del direttore generale) le procedure necessarie per mettere a norma l’impianto anche sotto il profilo della copertura finanziaria. Insomma, osserva la Corte, se per aspetti circoscritti di malfunzionamento dell’impianto elettrico rimediabili dal settore tecnico deve ritenersi che, assieme alla delega del relativo settore la posizione di garanzia si trasferisca dal direttore generale al delegato, così non è nel caso contrario, quando l’impianto presenti macroscopici difetti o carenze e la situazione sia stata dal delegato adeguatamente segnalata al delegante”.


La qualifica di direttore generale (nonché di direttore amministrativo o sanitario) non può, quindi, essere di per sé sufficiente ai fini dell’affermazione di responsabilità, ma presupposto insuperabile per tale affermazione è che la condotta omessa rientri fra quelle di competenza dell’amministratore e che non vi sia stata valida delega di funzioni. In tale ultimo caso, peraltro, la delega non esclude, per ciò solo, la responsabilità del delegante, laddove il malfunzionamento dell’apparecchiatura o la carenza strutturale sia macroscopica e l’amministratore ne fosse, comunque, a conoscenza.

Con riferimento alle competenze del direttore sanitario, la Corte di Cassazione ne ha affermato la penale responsabilità per la mancata predisposizione di adeguati presidi di personale sanitario per interventi di urgenza all’interno di una camera iperbarica. La Corte ha rilevato che il direttore sanitario assume una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti, avendo di conseguenza “il potere e il dovere di porre in essere tutti gli accorgimenti idonei ad assicurare un rapido intervento” (Cass. pen., sez. IV, 14/11/2005, n, 5959) Cass. pen., sez. IV, 05/12/2007, n. 1553, ha affermato la responsabilità in concorso del direttore generale, del direttore sanitario e del primario di un reparto di ostetricia e ginecologia per avere causato la morte di un neonato per ipertermia conseguente al malfunzionamento dell’incubatrice nella quale era stata posizionata la vittima. In particolare, i profili di colpa del direttore generale e del direttore sanitario sono stati ravvisati nell’aver deciso e deliberato il mutamento del sistema di manutenzione dell’apparecchiatura da periodico a quello, meno sicuro, “a chiamata”.


Ancora, Cassazione penale 10430/2008, stabilisce la responsabilità del direttore amministrativo dell’ente, in caso di infortunio o morte del degente, qualora lo stesso abbia accolto il paziente in una struttura non idonea dal punto di vista strutturale (mancante di misure di sicurezza) e qualora i pazienti siano affidati per la cura e la protezione a persone non capaci o non sufficientemente preparate.

Per escludere la responsabilità del direttore della struttura su cui grava una posizione di garanzia è dunque necessario dare prova che lo stesso abbia adempiuto ai suoi doveri, ossia delegare un soggetto competente per la cura e la protezione del degente, disporre di idonee misure di sicurezza, impartire correttamente le istruzioni circa il rispetto delle predette misure di sicurezza. Gli operatori sanitari incaricati della vigilanza, invece risponderanno a titolo di omissione colposa, qualora abbiano omesso di vigilare correttamente sul paziente se da tale condotta omissiva sia poi scaturita la condotta del degente che ha poi portato all’evento lesivo di morte o lesione.


Cass. Penale, sez. IV, 21/06/2017, n. 18334, ha affermato che il medico in posizione apicale che abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo, non risponde dell’evento lesivo conseguente alla condotta colposa del medico di livello funzionale inferiore a cui abbia trasferito la cura del singolo paziente, altrimenti configurandosi una responsabilità di posizione, in contrasto col principio costituzionale di personalità della responsabilità penale. (La S.C., in applicazione di tale principio, ha escluso la responsabilità penale di un primario di reparto per l’omicidio colposo di un paziente che non aveva visitato personalmente, verificatosi nell’arco di dieci giorni, senza che in tale ambito temporale gli fosse segnalato nulla dai medici della struttura).


Ancora più recentemente, nell’ambito di una struttura sanitaria privata, (Cass. pen., sez. IV, n. 32477/2019), in relazione alla fattispecie di un omicidio colposo, per decesso di una paziente a seguito di parto gemellare, a causa della carente predisposizione di sacche di sangue adeguate, mancanza di fissazione di protocolli e modalità con cui contattare ospedali pubblici o strutture più idonee in situazioni emergenziali, la Cassazione ha riconosciuto in capo al direttore sanitario poteri di gestione della struttura e doveri di vigilanza e organizzazione tecnico sanitaria, da cui discende una posizione di garanzia giuridicamente rilevante, tale da consentire di integrare una responsabilità colposa per fatto omissivo, per mancata o inadeguata organizzazione della casa di cura privata, qualora il reato non sia ascrivibile esclusivamente al medico e/o ad altri operatori della struttura.

Da tali pronunce si evince come si tratti di casi in cui l’evento morte o lesioni, non è strettamente connesso, o comunque esclusivamente connesso, alla condotta dell’operatore sanitario. Occorre comunque guardare al caso concreto, nel senso che è necessario anche verificare se, nonostante la carenza, potesse pretendersi dal medico il rispetto di regole di cautela, a patto che lo stesso sia in grado di riconoscere la situazione di rischio e sia dotato di autonomo potere decisionale, requisiti che devono essere parametrati al ruolo, più o meno “apicale”, che il medico riveste all’interno della struttura.


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Note:


1) A. Palma, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva: tra 1 principio di affidamento e dovere di controllo, Jovene editore, 2016


2) Diverse le conclusioni in ambito civilistico, dove la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità della struttura, v. Cass., 13066/2004.


3) Cfr. De Falco, Compiti e responsabilità del direttore sanitario delle case di cura private. Profili 3 penali, in Cass. pen., 1997, p. 604 ss


4) Non tutta la dottrina, invero, è d’accordo nel riconoscere eventuali responsabilità in capo ad organi politici, in quanto questi ultimi eserciterebbero una discrezionalità eminentemente politica, le cui regole di esercizio sono difficilmente individuabili i modo così stringente da poter fondare una colpa penalmente rilevante, v. A. Palma, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva, cit.





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